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Marzo, Mese di Soglie e Rivoluzioni

Marzo è stato un mese un po’ sordo, come un film muto.

Ho scritto molto, moltissimo. Come se ci fosse un flusso di coscienza ininterrotto tra la mia mente e la mia anima, e io avessi cercato di prendere appunti, di non perdere niente. Il mondo fuori ha continuato a girare, eppure io non me ne sono sentita parte. Connessa con l’universo sì, ma non parte del sistema. Mi sono ritirata nella mia bolla. Ho creato, ho riflettuto, ho seminato e raccolto, ho tirato fuori la mia voce, ho sigillato con sudore e sangue il manifesto della mia rivoluzione.


In questi giorni ho pensato molto ai poeti, al loro modo di accedere a una parte irrazionale di sé, a quella follia che diventa linguaggio nuovo. È proprio in quel contatto con la follia che nasce una poesia che scuote. Ripenso a Umberto Galimberti, quando dice che i poeti producono linguaggio e, proprio attraverso la loro parola, forniscono all’umanità le condizioni per pensare. Heidegger considerava i poeti come esploratori della condizione umana. Pertanto i poeti riconoscono il rischio di restare nel buio, di perdersi, e nonostante tutto lo accettano. Quel buio è il prezzo, e solo in quel buio possono nascere nuove parole, nuove definizioni, nuove condizioni, nuove possibilità. E così mi sono accorta che i miei demoni non sono mai spariti. Ma io ho smesso di fuggire da loro. Ho imparato a invitarli alla mia tavola, a parlarci, a guardarli negli occhi. Non per farmi del male, ma per capire cosa sono venuti a mostrarmi. Ho imparato a danzare con loro, ad affrontare ciò che fino ad oggi avevo avuto paura di guardare.


A Marzo ho capito che la mia voglia di lottare, di voler cambiare a tutti i costi le cose, quel fuoco che mi ha sempre spinta a muovermi, l’Animus e l'Anima che dentro di me convivono, avevano radici molto più profonde, la voce di una rivoluzione che fino a oggi io non avevo avuto il coraggio di iniziare. La mia libertà, quella per cui ho sempre lottato, era insieme un miraggio e una minaccia. È sempre stata tutto ciò che desideravo, ma che non avevo mai avuto il coraggio di prendermi. E così, la paura di reclamare quella libertà è diventata il vero muro contro cui, per tutta la vita, mi sono scontrata. Un muro che non ero mai riuscita a rompere. Un muro interiore.


I muri esterni - il muro culturale, degli stereotipi, dell’indifferenza, di una società che ha sempre cercato di contenermi, della morale - esistono. Sono reali. Sono sempre stati lì. Quei muri, al contrario di quello interiore, almeno potevo vederli, toccarli, determinarne le dimensioni. E così mi sono resa conto che forse non erano veri muri. Forse erano un recinto. E un recinto, in fondo, è anche una rete di sicurezza. È questo il motivo per cui spesso si sceglie di rimanere nel proprio 'giardino': perché ciò che è familiare ci appare sicuro, mentre ciò che è sconosciuto fa paura. Ma sicuro non sempre equivale a sano. E la paura non è sempre un presagio di pericolo. O di morte. Forse quei muri non erano barriere. Erano una soglia. Una soglia tra ciò che è giusto e ciò che è vero. Perché giusto e vero non sempre coincidono. Scegliere ciò che si conosce è una reazione biologica: istintiva, evolutiva, legata alla sopravvivenza. È l’adattamento che preserva. Ma l’evoluzione, pur tendendo alla conservazione, si realizza proprio attraverso le mutazioni, le deviazioni dalla norma. È così che la specie si trasforma. E una soglia, in fondo, si può scegliere di varcarla.


Fino all’ultimo momento, ho creduto di dover scardinare tutto. Di dover far saltare in aria il sistema. Di dover abbattere muri. Solo oggi comprendo che non c’è mai stato alcun muro da abbattere: solo una scelta da compiere, solo una soglia da varcare.

C’è sempre stata una persona - una donna - che doveva trovare il coraggio di camminare, accettando che tutto il resto potesse rimanere indietro. E sempre uguale.

E così ho finalmente capito: la rivoluzione non si fa cercando di cambiare gli altri. Si fa cambiando se stessi. E solo così, solo nell’esempio, solo nel dimostrare che un’altra strada esiste - che un’altra forma di vivere, di amare, di onorare, di credere, di esistere è possibile- solo così, forse, è davvero possibile cambiare le cose.


Karl Jaspers sosteneva che, così come la perla nasce dalla ferita della conchiglia, anche un’opera nasce spesso da un tumulto interiore. È nel conflitto, nella frattura, nella crisi dell’anima che può emergere una verità autentica. Così è stato per me: la mia poesia è nata dall’interno, da quella rottura che mi ha fatto emergere. Le parole possono essere mezzo di rivoluzione. Ma solo a patto che siano autentiche, che nascano da un luogo di verità interiore. Non da una verità convenzionale, quella che ci viene insegnata e che seguiamo a occhi chiusi. Ma da un conflitto profondo, dove ciò che è giusto e ciò che è vero si scontrano. In quel conflitto, nel momento in cui non possiamo più nasconderci dietro le facili certezze, nasce il seme del cambiamento. Un cambiamento che non è solo esteriore, che non si limita a modificare il mondo intorno a noi, ma che agisce nel cuore stesso di chi scrive, di chi parla, di chi vive. Il cambiamento esterno non può essere il motore della rivoluzione, semmai solo la conseguenza. La vera rivoluzione perciò si fa imparando prima di tutto a riconoscere ciò che è davvero nostro. La scrittura diventa così un atto di coraggio, di verità, di liberazione, che trasforma la realtà, iniziando proprio da chi ha il coraggio di scriverla. E solo così, solo nell’autenticità del nostro conflitto, possiamo davvero cambiare il mondo. Non sempre abbattendo muri, ma aprendo varchi e lasciando entrare nuova luce.


C'è un concetto della fisica molto bello: l'Effetto Farfalla. Poeticamente parlando, se una farfalla sbatte le ali a Erlangen, dall'altra parte del mondo può scatenarsi uno tsunami. Naturalmente è molto più complesso di così, ma la metafora regge. E soprattutto, parla alla nostra immaginazione.

La mia voce, la mia poesia, la mia rivoluzione, può crescere e rafforzarsi solo se è radicata nel desiderio profondo di cambiare me stessa e di dimostrare a me stessa che un’altra forma di esistenza è possibile. E così ho integrato il significato più autentico del lasciare andare.

Lasciare andare è sbattere le mie ali oggi, al mio ritmo, e credere - sapere - che questo genererà un cambiamento. Credere che ciò che sono può fare la differenza. Che ciò che dico conta, anche se non cambierà le persone che ho intorno. E forse proprio per questo, un giorno, cambierà tutti.


Lady Margot

27 Marzo 2025












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2 Comments


Guest
Mar 27

Mi hai emozionato molto... Sei riuscita ad arrivare all' interno della mia "bolla"...

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Ti ringrazio molto! E sono contenta di aver sfiorato per un momento anche la tua bolla!

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